14 giugno 2011

Ripartenze

Chi non ha mai nuotato non lo sa e per questo sugli spalti pochissimi riescono a capire.

L'allenatore non muove un muscolo, non batte più neanche le palpebre.
L'ha visto tenersi a ridosso dell'avversario fino all'ultima virata secondo la tattica che avevano studiato.
Si è compiaciuto della spinta rabbiosa dal muro e dell'inizio impetuoso di ultima vasca.
Il divario era appena stato colmato con sicurezza da campione, la vittoria era la conclusione naturale.

Proprio in quell'istante una bracciata inspiegabilmente a vuoto, la sbandata sul lato destro, la testa contro la corsia.
Un impatto da niente, poco più che sfiorarsi, ma sufficiente a fermare quel treno in corsa.

Nel pieno dello sforzo il nuotatore è una matita in equilibrio sulla punta: basta un soffio per farla cadere.

E' un mistero insondabile come un atleta di quella stazza, con tutta quella possente muscolatura, per il solo fatto di aver sfiorato la corsia laterale si arresti improvvisamente e quasi ritorni alla verticale nel bel mezzo della finale delle Olimpiadi.

Pochi centimetri sott'acqua non arrivano gli sguardi, benchè se ne avverta addosso tutta la pressione.
Arriva invece alla bocca un anticipo di amarezza, un acconto di frustrazione.
C'è da decidere prima che in testa parta il flashback di quattro anni di allenamenti, gare, trasferte, sacrifici, poche soddisfazioni, alcune cocenti delusioni...

L'incubo di ogni nuotatore è di ripartire da fermo, senza avere punti di spinta.
Oppure si può simulare un malore e ci si ferma lì.

Ma "simulare" non è un termine in uso tra le corsie.

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