24 dicembre 2013

Adesso è Natale

"Natività" - Carlo Maratta
La più improbabile delle storie, la più incredibile delle divinità, la via più irragionevole di Salvezza.

La miracolosa gravidanza di una vergine, l'inspiagabile accondiscenza del marito, le difficoltà del travaglio durante il viaggio ed il rischio del parto in una mangiatoia.

Il Dio-con-noi si sceglie una stalla di Betlemme per venire al mondo.

Chi ha la voglia, la disperazione o addirittura la Fede per professare questo, crede anche che tutta la Scrittura è contemporanea a se stessa.

E dunque professa anche che adesso i costruttori edificano le mura di Gerusalemme e intanto all'orizzonte arrivano le truppe Babilonesi per cingerla d'assedio.
Che ora Salomone costruisce il Tempio e nel frattempo gli invasori lo radono al suolo durante le razzie.

Che oggi il Popolo è deportato, adesso è ridotto in schiavitù, in questo stesso momento rimpiange il suo passato e intanto - chissà dove e chissà come - sorge la sua Salvezza.

Auguri.


13 dicembre 2013

L'isola che c'è


Bennato canta in piazza a Giugliano.
Gli occhiali a specchio, la fisarmonica davanti alla bocca ed il giubbino di jeans attillato.
Canta in inglese, ma con voce stridula da scugnizzo di Pozzuoli.
Le luci ondeggiano, un paese intero balla ai piedi del palco.

"Bis, Biiiiiiiisss".
"Seconda stella a destra questo è il cammino..."

Dov'è quell'isola, Eduà?
Sarà quella là la seconda a destra?
O è solo un aereo che atterra a Capodichino?

Qua è tutto al contrario, Eduà.
Quest'isola c'è e non dovrebbe esserci.

20 chilometri quadrati, un cerchio di oltre 5 chilometri di diametro, in mezzo al quale io abito, dichiarato non bonificabile.
Ovvero lo Stato ci dice: lasciate perdere, andate via da lì, non c'è speranza.
Lo Stato ci dice: non faremo nulla per voi, emigrate o morite lì in silenzio.

Le signore al supermercato chiedono da dove vengono le arance, i broccoli, gli spinaci.
Il personale non dice mai: "Sono di qua". Dicono: "Le arance sono siciliane, i broccoli di Bari".

Io invece le arance del mio giardino mi voglio mangiare.
Deformi e puzzolenti come sono.
Della mia terra mi voglio ubriacare, per mezzo della terra mia voglio morire.

Eduà fai uno strappo, solo per stasera, solo per Giugliano.
Cantaci "Terra mia".


4 dicembre 2013

La stanchezza

"La stanchezza" - Gino Covili-1990

Mi è andata via la voce e la voglia di parlare a stare qui seduto sotto questo cielo umido di un inverno che ancora non arriva.

Io sono quello che camminava avanti e indietro, carico di adrenalina.
Avevo entusiasmo a fior di pelle, forza nelle spalle e qualche idea affilata in tasca.

"Tocca aspettare," - mi sono detto - "è giusto."

"Guarda che mani grandi, il mio turno dovrà arrivare."

Qualcuno ha iniziato ad andar via.
"Bene, farò meno fila".

Altri se ne sono andati quando vennero fuori a dirci che dovevamo aver pazienza.
"Ne avrò tutta quella che sarà necessaria".

Intanto nulla si muoveva e l'attesa iniziava a snervare.
Avevamo smesso già da un po' di parlare tra noi ed avevamo preso a guardarci in cagnesco, a misurarci l'un l'altro le possibilità a colpo d'occhio, a mettere da parte qualunque forma di cortesia.

Poi ogni tanto uno usciva e si rivolgeva a noi con toni sempre più concitati.
Ci diceva che era inutile, era meglio andarsene a casa, cosa stavamo a fare lì, cosa cercavamo, quali pretese assurde avanzavamo, quali meriti arrogavamo a dispetto di chi era già andato via e di chi era rimasto a casa?

Siamo arrivati in pochi fino a sera, pochissimi.
Diciannove mozziconi ai piedi e un'ultima sigaretta nel pacchetto.
La fumo e vado via.

Guardo le mani e mi sembrano inutilmente grandi.
Guardo i sogni in tasca e sono opachi e vacui.




12 ottobre 2013

Odio Las Vegas

Micio, micioooo...

Odio Las Vegas.
Odio la sua Venezia che non conosce acqua alta, la sua Tour Eiffel che non affaccia sugli universitari stesi al sole su nessun Campo di Marte, la sua finta Sfinge che non ne sa nulla di sabbia e di deserto.
Per questo porto da mangiare ai gatti qui, a Largo Argentina.

Micio, miciooo...

"Che c'entra Las Vegas coi gatti?", lo pensi e non lo dici.
Magari credi che io sia rimbambita.
C'entra invece.

Tieni, bello, tieni...

Per cosa ti credi che vengano qua tutti 'sti turisti?
Per vedere quanto male siamo capaci di custodire i Fori Imperiali ed il Colosseo?
Per fare ore di coda al caldo e poi visitare i Musei Vaticani a passo di carica, pur di rispettare l'orario di chiusura?
Per farsi largo a Piazza Navona tra i cingalesi che gli vogliono vendere rose ammuffite, caldarroste anche ad agosto o quei volàni luminosi che lanciano in ogni direzione, col rischio che cadano pure in testa a qualcuno?

No, amico mio...

Nz, nz, nz....

Questi vengono qua ad incontrare.
Vengono a stare in mezzo alla folla che va a vedere i gladiatori.
Vengono a passeggiare per Piazza del Popolo col rischio di incrociare Michelangelo o Caravaggio.
Vengono a mischiarsi con quelli che accolgono Garibaldi e poi a correre per i vicoletti dietro Campo dei Fiori insieme agli ebrei durante i rastrellamenti.

Vieni bello, ci sta pure per te...

E domani?
Che cosa verranno a cercare di noi a Roma?
Cosa gli stiamo lasciando?

Bed & breakfast e gelaterie?
Le taverne che si sono aperte a Via Margutta dove prima facevano bottega i pittori o i "Compro Oro" di Via dei Pettinari che hanno preso il posto delle famiglie di orafi?

Di questo nostro tempo resterà Las Vegas, la finzione di una città che non esiste perché non ha più cittadini ma solo turisti, da un estremo all'altro delle mura aureliane.

Tiè... Tiè...

Allora do da mangiare ai gatti.
Qui a Largo Argentina ci sono da sempre, da prima che nascesse Giulio Cesare.
Chissà, magari domani i turisti verranno a cercare almeno loro...


11 settembre 2013

mementomori



Mi hanno detto la vita incomincia ai cinquanta, vedrai, i cinquanta sono i nuovi trenta.

Mi hanno detto c'è tutto il tempo per rifarsi una vita, amicizie, amori, alcune riescono ad avere perfino bambini.

Mi hanno detto di botox e creme al siero di vipera, yoga, pilates e lezioni sfrenate di zumba.

Mi hanno detto pensa io mi sono iscritta a Facebook e ora mi chiedono l'amicizia gli amici di mia figlia.

Mi hanno detto lavorare in pensione è un piacere, senza l'assillo dello stipendio fai quanto e come vuoi, solo per te.

Io credo che se non accettiamo di invecchiare non ci sarà spazio - neppure fisicamente - per le generazioni successive.

Siamo in troppi fermi a trent'anni.



16 agosto 2013

Sgarrupato

Da qualche parte ho trovato scritto:

"Il canottiere solitario si rannicchia sul remo in posizione fetale e spinge con la foga di una partoriente.

Purtroppo, per sciagurata occorrenza, intorno a lui non c'è acqua (evento singolare, nella città delle 100 sorgenti), al suo remo manca la pala e, a guardar bene, perfino lo scalmo."

Oggi riguardo questa fontana, e la piazza dell'Orologio non molto distante, e mi accorgo con sorpresa che l'indignazione ha ceduto il passo ad una certa accondiscendenza, una sorta di rassegnazione mista a compiacenza.

In fin dei conti la fontana così come la piazza - con la torre dell'orologio restaurata da poco ed i palazzi diroccati tutt'intorno - descrivono uno sforzo di elevazione malriuscito, una bellezza intravista ed immediatamente sfiorita, prima ancora di poter essere goduta.

Guardo, riconosco come profondamente rappresentativo di questo tessuto sociale, e allora avverto una compassione priva di pietà, come di chi si sente parte in causa.

Guardo e mi viene in mente la frase di D'Orta:
"...un po' mi sento sgarrupato anch'io..."
che è tanto più vera qui, in questa simbiosi perfetta tra i cittadini e lo stato dei luoghi che abitano.

Dio ci liberi dall'affezione al degrado.

22 luglio 2013

Messa a nudo

La ragazza con il top fluorescente e la gonna di jeans sopra il ginocchio quasi si nasconde dietro una felce in fondo alla chiesa, nella zona più buia.
Con fastidio e vergogna mimetizza i sandali di cuoio appena sporchi di sabbia sotto l'inginocchiatoio dell'Assunta.

La signora Lavinia prende il vecchio cesto delle offerte - vimini all'esterno e velluto rosso dentro - ed inizia la questua.
Procede tra i banchi con una fierezza sbilenca, una specie di diritto a una notorietà acquisita attraverso lustri di esercizio del medesimo servizio.
Al terzo banco appoggia una mano per saluto sulla spalla della moglie del sindaco, che ricambia con un finto sorriso di circostanza.
Al sesto banco si china e sussurra qualcosa all'orecchio della signora Giannotti, quella della gioielleria.
Al dodicesimo con un sorriso e un'inclinazione del capo riverisce la vedova del commendatore Sposito.

Finiti i banchi e la sfilata, fiera e impettita in modo che tutti l'ammirino, si avventura nella zona buia, verso la felce.
"Figlia mia" - esordisce con tono caritatevole e gesticolando col braccio libero dal cesto, in modo che la conversazione sia ben sottotitolata pure per chi non riesce a sentirla - "ti pare il caso... lo vuoi uno scialle? Ce l'ho in Sacrestia..."

Per un attimo la ragazza è fucsia come il top, pensa di andar via.
Poi con un filo di voce, indicando il Crocifisso sull'altare:
"Lo dia a Lui, ne ha più bisogno".



28 giugno 2013

Af-Foga-re A-Mare


"Mare preferibilmente freddo e fortemente salino e mosso,
giacché l'onda ne è parte integrante,
per ciò che di terribile porta con sé,
tecnicamente da superare e moralmente da dominare,
in una sfida paurosa,
a ben pensarci paurosa..."

("Oceano Mare", A. Baricco)


Cito perché non ho dimestichezza con i tatuaggi,
avendomi stampato addosso queste stesse parole
le onde cocciute e violente di Maestrale
affrontate molte miglia al largo di Nisida.


23 giugno 2013

'America


Malta e calce io, io Rumeno.

Io toglie pavimento, butta cesso vecchio, abbatte muro che non serve.
Io porta mattoni, impasta cemento, pittura parete.
Io butta cose vecchie e da cose nuove.
Io "fraveca e sfraveca", come dice Masto.

Io dorme in casa che costruisce, così nessuno ruba ponteggi e attrezzi.
Se viene vigili io no muratore, io no conosce Masto, io zingaro.

Quando finisce lavoro io senzatetto.
Se finito prima di consegna, Masto da piccolo premio.
Se finito dopo, quando è giorno di consegna Masto mi caccia dalla casa e io dorme per strada, e ogni giorno torna alla casa per finire lavoro.

Stasera 21 giugno, quattro giorni a consegna.
Oggi inizio estate, ma vento fresco.
Io non può dormire in casa perché montato nuovo pavimento, allora io stende mia coperta su giardino davanti cucina e dorme all'aperto.

Masto canta sempre canzone che imparato pure io, e io canta quella stasera.

"E pe mme resta 'o cielo 'e notte
cu nu fico mman s'aspettava o'sole,
E pe mme resta sulo 'addore,
Terra c'ammesca a vita e se ne va.

Io nun voglio ì 'a America..."

15 giugno 2013

Collemaggio

La facciata romanica della basilica, bassa e quadrata, trasmette - almeno lei - un grande senso di sicurezza e solidità.
All'interno il gioco di luce colorata prodotto dal rosone dura qualche metro.


Un banco oltre la penombra c'è una ragazza, il velo da sposa come un drappo di lutto sul capo.
Domani non si sposerà in questa stessa chiesa con il suo fidanzato, che è volato nel vuoto nell'istante in cui lei sceglieva le bomboniere.
La sua mano cerca fisicamente un perché a cui aggrapparsi lungo la superficie di una delle colonne giganti, avendone per risposta le sole asperità del tufo.

Poco piú avanti, nella fila opposta di banchi, un'altra ragazza.
Ieri non si è sposata, lasciando tutti di stucco. Anzi ha perfino venduto il vestito da sposa, convincendosi che non era per lei.
Di "perché" non ha mai avuto avuto bisogno, anzi, ogni volta che ha avuto una buona ragione ha sempre scelto ostinatamente di non seguirla.
Oggi c'è di nuovo in lei un dubbio, come un ronzio all'interno del cervello.

Finiti i banchi, inaspettatamente, dall'alto, la luce.
La volta, appesantita da fregi barocchi fuori contesto, è crollata durante l'ultimo terremoto.

Dicono che la Grande Bellezza sia la nostalgia di un ricordo.
E che l'Insoddisfazione, invece, attinga dall'immaginazione di ciò che poteva essere, e non è stato.

Ebbene Io che oggi aleggio in questa navata sono Dolore, ovvero la nostalgia di ciò che si era immaginato di avere come ricordo, e che invece non lo sará.


4 maggio 2013

Sogni nel cassetto

Nel cassetto c'è un foglio A4 con un disegno a pennarello.
Al centro un sole gigante che ride, in alto a sinistra un razzo che caccia le fiamme dal motore.
In mezzo tra i due un omino, due stecchette per braccia, due stecchette per gambe, faccia tonda, occhi e sorriso e intorno alla testa un altro cerchio, magari un casco.
"Io da grande" sta scritto a matita sopra l'omino.

Nel cassetto c'è pure la pagina dei centrocampisti ed attaccanti della Sampdoria strappata dall'album Panini 90-91.
In mezzo tra Vialli e Mancini c'è spillata una mia fototessera - avevo nove anni.
La faccia slava di Boskov sorride e benedice.

Una lettera mai spedita a Sara, una ragazzina biondissima di un liceo di Bolzano con cui facemmo gemellaggio al secondo anno delle superiori, nella quale mi sforzavo di spiegarle che non mi pareva così strano stare insieme a mille chilometri di distanza, senza concrete possibilità di rivederci.

Una foto con Grazia a un concerto di Lorenzo mentre cantiamo a squarciagola 'A te'.

Il libretto universitario.

Una matita rubata al primo colloquio di lavoro, in Fiat.

La fede - l'incisione 'Grazia' ancora perfettamente leggibile.

La raccomandata di ammissione tra i creditori all'istanza di fallimento dell' azienda in cui lavoravo.

Un ritaglio di giornale con me disteso sui sampietrini di Montecitorio, una pistola poco distante, lo scarpone di un carabiniere che mi schiaccia la faccia.

A Giò,
che non ha voluto rinunciare a sogni fuori scala
in questo tempo piccolo

16 aprile 2013

Litania


Sancta Maria.
Sancta Dei Genetrix.
Sancta Virgo Virginorum.

Fiducia per i disoccupati.
Forza nei moribondi.
Avvocata dei debitori.
Abbondanza delle sterili.
Madre di figli perduti.

Sollievo dei sofferenti.
Compagna degli abbandonati.
Sostegno dei disperati.
Serenità nell'agonia.
Ultima per chi si crede ultimo.

Pro nobis.

Ora.



28 marzo 2013

Dead man walking

Fausto di corsa esce di casa, l'iPad, il portafoglio e le chiavi in una sola mano, mentre con l'altra prova ad infilare la manica del giubbino. Da qualche parte in tasca una merendina schiacciata, surrogato della colazione saltata per essersi alzato troppo tardi.
"Troppo tardi" è il tempo tra la fine del lavaggio dei piatti della sera precedente e la seconda sveglia del mattino - la prima ormai la ignora sistematicamente.

Fausto fermo nel traffico, autoradio a palla nell'abitacolo vuoto, aria condizionata e vetri serrati pure se è aprile... così, tanto per estraniarsi dall'arroganza degli automobilisti, dall'indisciplina dei centauri e dall'insistenza degli zingari ai semafori.

Fausto in metro - gliene toccano venti minuti ogni mattina - nel posto più distante dai profumi esagerati, dagli odori, dalle puzze, dalle conversazioni finto-colte, finto-interessate, finto-anti-luoghicomuni che aleggiano nel vagone.

Fausto a passo svelto fa slalom sul marciapiede scansando vecchi col bastone, badanti polacche con buste giganti, mamme e passeggini e perfino un barbone disteso sul gradino di una gioielleria.
Fausto tutto evita, tutto gli scivola addosso, immerso nella sua placenta di playlist e aggiornamenti di stato.

Fausto spegne l'iPad sull'uscio dell'ufficio, mentre passa in rassegna l'elenco dei problemi da risolvere, delle persone da affrontare, delle interminabili ed inutili riunioni a cui partecipare.
Inconsapevolmente storce appena il labbro superiore e gli scappa di pensare che tra dieci, massimo dodici ore sarà passata anche questa giornata.
Allora, seguendo il percorso a ritroso, potrà tornare verso la casa vuota, dove butterà in microonde qualche surgelato e lo mangerà davanti a una replica di Zelig che non fa più tanto ridere.
A mezzanotte passata, se Dio vuole, si ri-infilerà a letto.

Mette la mano in tasca, trova la merendina - ormai una sottiletta -, la appallottola e fa canestro nel cesto più lontano di carta da riciclare.

5 marzo 2013

Voglio o' Sangue

T'aggia fa ascì o' Sangue.

T'aggia scippà 'e palazzi d'o lungomare comme si fossero capille a copp a'capa e t'aggia appiccià e' meglio musei comme s'abbruciano 'e calli a dint 'e mman.

Ngopp o'Mare t'anna galleggià pisci muort comme 'e perucchie e pe 'e vvie ja tenere cantieri aperti comme si fossero emorroidi.

T'aggia fa correre appriess e muzzecà d'e zoccole a Ponticelli e a San Giuann e t'aggia fa schiattà 'e calore e puzza 'e munnezz mmiez 'e vvie 'e Pianura dint o' mese e luglio.

T'aggia fa cadè 'e mmura a Pumpei comme cadono 'e rient da vocca 'e vecchie, e aropp t'aggia vummeccà o fango ngopp 'e ccase abbusive a Ischia.

Bagnoli invece adda rimannè accusì, adda marcì sotto o'sole, comme a 'na vena varicosa.

O' Sangue t'aggia fa ascì, pe vedè si te sceti a dint a stu suonn.


20 febbraio 2013

Semaforo

Quello fermo all'angolo della strada, immerso in una nuvola di fiato e vapore corporeo che se ne sta compatta nell'aria tagliente della domenica mattina, è Pietro.
Attende il verde del semaforo pedonale per attraversare, anche se è troppo presto e per strada non c'è ancora nessuno.
Intanto alterna saltelli sul posto a qualche esercizio di stretching per sciogliere il torcicollo che lo attanaglia fin dal risveglio, per allontanare la tendinite che si trascina da quasi un mese, per nascondersi l'artrite che fa parte dei ferri del mestiere di un istruttore di acqua-gym più che quarantenne.

Pensa alle vecchie del primo corso, a quando entreranno in piscina con cuffia, accappatoio e borsa firmata, come se il bordovasca fosse una via del centro.
Pensa alla sottile frustrazione nel constatare anche stamattina il loro disinteresse alla lezione, la loro intenzione conclamata di fare due chiacchiere immerse nell'acqua calda, condite con il minimo insieme di movimenti che le consentirà di raccontare anche questo pomeriggio alle amiche della loro indomita passione per lo sport.

Pensa al turno delle casalinghe che vanno di fretta, che vengono da casa con il costume indossato sotto i panni e che vanno via di corsa - i capelli ancora bagnati - per prendere i figli all'uscita dalla messa e mettere il piatto a tavola entro ora di pranzo.

Pensa al turno delle single rampanti che si applicano con dedizione olimpionica e poi dopo si trattengono fino a tardissimo a fare esercizi improbabili suggeriti da una ex velina o letti sulla quarta di copertina di Chi.

Per ogni turno inventa coreografie e le ripassa mentalmente.
Poi gli viene in mente che è pagato otto euro all'ora - in nero - e si chiede chi glielo fa fare.
E si chiede anche per quanto potrà ancora andare avanti così.

Il semaforo è rosso come un pugno che sanguina dalle nocche.
Il verde deve arrivare, non si è mai visto un semaforo che alla fine non scatti.
Eppure c'è un istante preciso in cui ti assale il dubbio - ma mentre lo pensi è già quasi certezza - che questo che c'hai davanti sia rotto davvero.


1 febbraio 2013

Mal di terra


Teteio l'ho visto muoversi sulle barche come non avevo mai visto nessuno prima, io che sulle barche ci sono nato.
L'ho visto camminare dritto sopravvento come Naomi sulla passerella, mentre intorno c'erano trenta nodi e la barca era sbandata a quarantacinque gradi.
Da riva l'ho visto staccare il timone in piena andatura ed attaccarsi la barca sotto il bacino, accucciato com'era sulla deriva, governandola a perfezione con alcuni sbandamenti altrimenti impercettibili del corpo.
"Signor Capo" l'ho ribattezzato, per via del portamento da Capitano.

Da qualche tempo Teteio si è portato il Mare anche a terra, dove non ne sa seguire il ritmo.
All'asciutto fa fatica a camminare dritto, mantiene un briciolo di equilibrio con enorme sforzo.

I dottori sentenziano, mostrano spiragli, si infervorano, si smentiscono a vicenda.

Teteio la mattina va alla spiaggia dei due Mari, che poi è da dove lo vedevo andare senza timone.
Si infila nella muta e nuota - sì, anche al mese di gennaio.
Dopo mezz'ora torna a terra e cammina - dritto - finché l'organismo (chissà come) si rende conto di non essere più a Mare.
Solo allora sbanda di nuovo e alla fine mette mano alle stampelle.

Ma pure il miracolo di stamattina è andato sprecato, mentre i dottori sono ancora intenti a litigare.

24 gennaio 2013

10 pensieri prima di spararmi

Dove ho sbagliato?
Cosa avrei potuto fare diversamente?
Quali occasioni ho perso, di quali non mi sono nemmeno accorto?

O è stata tutta sfortuna?
Che poi la sfortuna esiste davvero?

Che cosa lascio?
Cosa dovrebbe - materialmente o spiritualmente - trattenermi?
I debiti, la frustrazione, l'incapacità di trovare per me o procurare ad altri Felicità?

Il calcio della pistola è liscio e caldo, il grilletto è ruvido e freddo.
Non farà poi tutto sto male.


12 gennaio 2013

So Good


La bitta sotto il culo è scomoda, però è a poppa sottovento e il fumo dello spinello non arriva sul ponte di comando.
All'equatore il Caldo pare di vederlo pure di notte, balla sul Mare tutto intorno, balla e dice che viene a prenderti.
Tiro fuori l'accendino ed inizio a squagliare.

Sheikh si affaccia subito dall'oblò della sala macchine, ha visto la scintilla e la fiamma.
Caccia un sorriso a cui mancano una decina di denti.
"So far so good" è l'unica cosa che sa dire, alla quale ho smesso di rispondere.

So good un cazzo.
So good per te, bestia da carico mezza indiana e mezza vietnamita.
So good quando tra due o tre anni uscirai da quel forno crematorio in cui sei rinchiuso, tornerai al paese tuo, comprerai una casa e troverai una cingalese che ti si piglia, te ed i tuoi denti mancanti.

So good un cazzo per me che di sei mesi in sei mesi faccio contratti al ribasso col mio futuro.
So good un cazzo perché l'entusiasmo finisce e resta la rabbia.
"So good un cazzo" voglio strapparmelo da sotto la pelle e buttarlo in faccia a chi ancora mi vuole convincere che tutto col tempo si sistema.
"So good un cazzo" voglio sputarlo addosso ai miei genitori, agli amici, agli insegnanti, ai politicanti, ai preti e pure a un Dio che a momenti mi aveva quasi convinto a fidarmi.

Chiudo a bandiera, accendo e aspiro.
"So far no good", Sheikh, te lo urlo controvento, ma così forte che non c'è Caldo o Mare o Rumore di motori che possa trattenerlo.

SO FAR NO GOOD.