20 febbraio 2013

Semaforo

Quello fermo all'angolo della strada, immerso in una nuvola di fiato e vapore corporeo che se ne sta compatta nell'aria tagliente della domenica mattina, è Pietro.
Attende il verde del semaforo pedonale per attraversare, anche se è troppo presto e per strada non c'è ancora nessuno.
Intanto alterna saltelli sul posto a qualche esercizio di stretching per sciogliere il torcicollo che lo attanaglia fin dal risveglio, per allontanare la tendinite che si trascina da quasi un mese, per nascondersi l'artrite che fa parte dei ferri del mestiere di un istruttore di acqua-gym più che quarantenne.

Pensa alle vecchie del primo corso, a quando entreranno in piscina con cuffia, accappatoio e borsa firmata, come se il bordovasca fosse una via del centro.
Pensa alla sottile frustrazione nel constatare anche stamattina il loro disinteresse alla lezione, la loro intenzione conclamata di fare due chiacchiere immerse nell'acqua calda, condite con il minimo insieme di movimenti che le consentirà di raccontare anche questo pomeriggio alle amiche della loro indomita passione per lo sport.

Pensa al turno delle casalinghe che vanno di fretta, che vengono da casa con il costume indossato sotto i panni e che vanno via di corsa - i capelli ancora bagnati - per prendere i figli all'uscita dalla messa e mettere il piatto a tavola entro ora di pranzo.

Pensa al turno delle single rampanti che si applicano con dedizione olimpionica e poi dopo si trattengono fino a tardissimo a fare esercizi improbabili suggeriti da una ex velina o letti sulla quarta di copertina di Chi.

Per ogni turno inventa coreografie e le ripassa mentalmente.
Poi gli viene in mente che è pagato otto euro all'ora - in nero - e si chiede chi glielo fa fare.
E si chiede anche per quanto potrà ancora andare avanti così.

Il semaforo è rosso come un pugno che sanguina dalle nocche.
Il verde deve arrivare, non si è mai visto un semaforo che alla fine non scatti.
Eppure c'è un istante preciso in cui ti assale il dubbio - ma mentre lo pensi è già quasi certezza - che questo che c'hai davanti sia rotto davvero.


1 febbraio 2013

Mal di terra


Teteio l'ho visto muoversi sulle barche come non avevo mai visto nessuno prima, io che sulle barche ci sono nato.
L'ho visto camminare dritto sopravvento come Naomi sulla passerella, mentre intorno c'erano trenta nodi e la barca era sbandata a quarantacinque gradi.
Da riva l'ho visto staccare il timone in piena andatura ed attaccarsi la barca sotto il bacino, accucciato com'era sulla deriva, governandola a perfezione con alcuni sbandamenti altrimenti impercettibili del corpo.
"Signor Capo" l'ho ribattezzato, per via del portamento da Capitano.

Da qualche tempo Teteio si è portato il Mare anche a terra, dove non ne sa seguire il ritmo.
All'asciutto fa fatica a camminare dritto, mantiene un briciolo di equilibrio con enorme sforzo.

I dottori sentenziano, mostrano spiragli, si infervorano, si smentiscono a vicenda.

Teteio la mattina va alla spiaggia dei due Mari, che poi è da dove lo vedevo andare senza timone.
Si infila nella muta e nuota - sì, anche al mese di gennaio.
Dopo mezz'ora torna a terra e cammina - dritto - finché l'organismo (chissà come) si rende conto di non essere più a Mare.
Solo allora sbanda di nuovo e alla fine mette mano alle stampelle.

Ma pure il miracolo di stamattina è andato sprecato, mentre i dottori sono ancora intenti a litigare.