11 aprile 2012

Burning Nairobi

Un morto, una bottiglia di colla.
Dieci morti, un kalashnikov.
Trenta morti il controllo di una banda.
Ma qui non si uccide per ambizione, lo si fa per passatempo.


Nairobi in fiamme.
Cumuli di immondizia carbonizzata, rivoltata da milioni di mani alla ricerca di rame e ferro.
In centro le luci artificiali di discoteche ed alberghi per turisti.
All'orizzonte la fiamma dei pozzi di estrazione.
Avvampano i neon contro le pubblicità dei resort di Malindi, bruciano le baracche di chi appartiene ad un'etnia sbagliata.

Dicono che un fratello di Luka sia scappato, che si alleni sugli altipiani ad ovest con Kipketer e Kiptanui; di un altro dicono che sia entrato in una missione cristiana e di lì lo abbiano spedito a Roma in seminario.
Luka annuisce senza sorridere, finge una seria ammirazione.
Finge di non averli visti tenersi per mano in una fossa comune; e - alla fine - un po' se ne convince.
Poi preme bocca e naso avidamente contro il sacchetto, mentre lo tiene mezzo strozzato con un pugno.

L'iperventilazione.
La polvere lega coi muchi, sciogliendosi.
Un pugno violento sullo sterno, un peso che aumenta, come se qualcuno ci  salisse sopra in piedi.
Lo stordimento, la pace.
Pure stasera la fame è passata, la disperazione è scomparsa.



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