28 agosto 2012

Paesaggio

Primo esercizio del fotografo è ritrarre il paesaggio.

L'odore acre dell'erba secca gialla, ocra, marrone.
La Terra incolta a perdita d'occhio, barbara ed arsa dal sole selvaggio.
In mezzo ad essa la Terra arata, dissodata, sottratta all'incuria e quel lavoro custodito con muretti a secco arrangiatissimi, che mescolano memorie di Berlino e di Nuraghe.

In mezzo all'oceano di Terra un fiume avanza come un serpente e - sull'ansa dove l'acqua rifluisce più lentamente - una teoria di papere va tracciando una scia misteriosa per il canneto.
Poco più in là un solo preciso colpo di spazzola venuto da nord ovest pettina la pineta, inclinando nello stesso verso i tronchi degli alberi secolari.

Dove la vista perde il fuoco, un'idea di Mare cobalto sul quale si sfoga Maestrale.

Liggiù solleva bianchissimi spruzzi e creste di onda.
Poi la corsa sulla sabbia in una nuvola di polvere.
Lo si vede tuffarsi nei cespugli tra i cardi, scuotendoli ed afferrandoli a ciuffi.
Nella pineta mescola l'odore di resina alla salsedine, al mirto, al carrubo e quest'alchimia pregiatissima arriva alle narici di chi, in piedi davanti a tutto questo, è intento a fotografare.

Se non si resta a bocca aperta davanti alla Sardegna, non lo si rimarrà neanche altrove.

Dedicato ai minatori del Sulcis
che rinunciano per protesta a tutto questo
in cambio della pancia buia della miniera.

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